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Pietro Mennea: Ragazzo Del Sud, Senza Pista, Sul Tetto Del Mondo

Il 28 giugno avrebbe compiuto 70 anni. E’ stato atleta, avvocato, politico e scrittore. Ma la politica sportiva italiana non lo ha mai promosso a dirigente sportivo: «Ci perdono loro» amava ripetere.

Eugene, Oregon, USA. Mondiali di Atletica Leggera 2022. Chissà, se fosse ancora vivo, quanti aneddoti sui suoi Mondiali ci avrebbe raccontato. Ma il 21 marzo 2013, primo giorno di Primavera, un tumore lo ha portato via. Io ed i miei coetanei, che nel 1979 eravamo solo dei bambini, siamo cresciuti nel mito di Pietro Paolo Mennea, per tutti solo la Freccia del Sud! 

19”72: sono le cifre dell’Assoluto. Il Record del mondo di velocità nei 200 mt piani, sottratto al mito USA Bobby Smith, stabilito alle Universiadi di Messico 79. Ancora oggi è Record europeo. Detenuto per 17 lunghi anni da un uomo italiano. Bianco, per di più. Da giovane si allenava, con la maglia dell’AVIS Barletta, con scarpe e maglia regalate, su una «pista» in terra battuta. Niente più.

MA TU SEI BIANCO!

Muhammad Alì, altro inarrivabile tra gli Dei pagani dello sport, si stupì quando lo conobbe in California. Dissero al pugile che Pietro, l’italiano, era: «the fastest man in the world» .«Ma sei bianco!» esclamò il pugile. «Si, ma sono nero dentro», replicò Mennea. Nato a Barletta nel 1952, inizia a correre e vincere da adolescente. Le immagini della mini fiction RAI interpretata da Michele Riondino, dal titolo «Pietro Mennea: la freccia del Sud» – regia di Ricky Tognazzi – illustrano come il giovane Pietro battesse in corsa, per scommessa, i bolidi dei ricchi del paese, e «non c’erano Alfa Romeo o Lancia che tenessero» (RAI News). Insomma, la velocità già scritta nel DNA. 

PIETRO, IL GRANDE

Pietro quest’anno avrebbe compiuto 70 anni. A chi ama lo sport, e a chi ha avuto il piacere anche solo di parlargli o sentirlo raccontare le sue gesta dal vivo, manca moltissimo. Era tanto grande quanto umile e discreto. Doti che, nei personaggi geniali e memorabili, vanno sempre di pari passo. L’uomo bianco più veloce al Mondo per 17 anni, battuto solo da un altro marziano, l’afro-americano Michael Johnson. Cinque olimpiadi, un oro e due bronzi, quattro lauree, un seggio all’Europarlamento, docenze universitarie e numerosi libri scritti dopo non hanno cambiato né artefatto l’indole di Pietro il Grande. 

ORI E ALLORI

Un mio personale ricordo lo attesta. Ho avuto la gioia di incontrarlo nel 2010, a Roma, in concomitanza con la pubblicazione del suo libro L’oro di Mosca. Un’opera giornalistica molto coraggiosa, dedicata a tutti quegli atleti appartenenti a corpi militari i quali, all’epoca dei Giochi Olimpici di Mosca ’80, non furono messi in grado di gareggiare nelle competizioni olimpiche a causa del boicottaggio deli Paesi aderenti alla N.A.T.O. a seguito dell’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS. 

In quell’occasione pubblica, che atteggiamento da divo vi sareste aspettati da uno dei più grandi campioni dello sport mondiali di tutti i tempi, che gli inglesi hanno omaggiato con le dedica della la fermata di Hight Street Kengsinton della London Tube e gli italiani con un treno ad alta velocità a suo nome, Frecciarossa 1000, che corre a 400 Km orari? Ebbene, nessuna bizza da star, niente teatralità: si presentò sorridente e spartano, con un banchino dedicato al book signing, portando a mano le bottiglie d’acqua per sé e per i relatori suoi ospiti! Io, allora, lo trovai un gesto di una umiltà e grandezza assoluta, che mi conquistò all’istante. «Eravamo cinque figli, quattro maschi e una femmina. Mio padre Salvatore era sarto, mia madre Vincenzina lo aiutava, a me toccavano i lavori più umili: farei piatti, pulire la cucina, lavare i vetri». Ecco, anche questo era Pietro. Immenso nel suo essere superiore a tutti.

LA FRECCIA DEL SUD, SENZA PISTA MA CON TANTA UMILTA’

A Mosca ’80 vinse un oro prodigioso nei 200 mt. piani grazie ad un recupero sensazionale, davanti allo sprinter scozzese Allan Wells. «Sono uno che non si sente mai arrivato. Sempre pronto ai blocchi». Lui dopo un oro non svernava ai Caraibi, ma si allenava, sin da ragazzino, 5/6 ora al giorno per 350 giorni l’anno e, se avesse avuto l’opportunità di tornare indietro, commentava, di ore ne avrebbe fatte 8, perché solo dando tutto ottieni il massimo. Pietro for President. 

LA POLITICA SPORTIVA E’ VECCHIA

Ma se il suo rigore personale e tecnico – affinato grazie anche all’apporto insostituibile del coach ed ex-atleta Carlo Vittori e dei suoi metodi marziali- lo ha reso icona e riferimento tra fans di atletica ed appassionati di sport nel mondo, lo stesso non si può dire delle “alte sfere” della politica sportiva italiana. Pietro, in frequente dissenso con l’establishment, diceva di avere ricevuto poche seduzioni da CONI e Federazione. Lo si descriveva come antipatico, presuntuoso. Solo discreto e concentrato sulla concretezza, diciamo noi. 

A Pasquale Notargiacomo, che per L’Espresso lo intervistò a cuore aperto, confidò: «Nel 1994 stavo riflettendo su una mia candidatura per la Federazione di Atletica. Bastò che dicessi ‘vorrei, desidererei’ che tutti i piccoli arrampicatori del tempo si schierarono contro di me e da allora ho preferito abbandonare ogni proposito. Ci sono cose più importanti nella vita». Mennea lamentava, nella medesima intervista, la cattiva gestione delle risorse, lo scarso ricambio generazionale ai vertici – «Gli stessi di quando correvo io», e l’assenza, quasi sistematiche, delle ottime donne come dirigenti. Il CONI? «Una struttura da dopoguerra». Caro Pietro, ci manchi.

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